venerdì 8 maggio 2015

Misteriose felci. Quarta parte

Ma loro come lo fanno?

È venuto il momento di rivelare uno dei segreti della vita privata delle Pteridofite: loro sono “diverse”.
Noi pluricellulari, in stragrande maggioranza, abbiamo almeno una costante nella vita: nasciamo diploidi e diploidi moriamo. Non è molto, indubbiamente, ma il nucleo di ognuna delle nostre cellule somatiche possiede per tutta la nostra vita due set di cromosomi: uno di origine paterna e uno di origine materna. Tutte le nostre cellule TRANNE le cellule riproduttive, i gameti. Quelli sono aploidi, cioè hanno un solo set: un cromosoma 1, un cromosoma 2, un cromosoma 3... ecc. provenienti o dal set materno o dal set paterno, fino al cromosoma 23 (che può essere X o Y e, nei mammiferi, indica il sesso biologico del nascituro). E questo perché la diploidia verrà ripristinata nei fortunati pochi gameti che riusciranno a incontrare un partner dell'altro genere durante la fecondazione. E questa aploidia dei gameti ci salva dal disastro di raddoppiare il numero di cromosomi tipici della specie generazione dopo generazione.
Detto in linguaggio scientifico, dal punto di vista riproduttivo noi siamo diplonti.
Però, nella grande maggioranza dei pluricellulari, i gameti sono cosine discrete, cellule aploidi; certo negli uccelli il gamete femminile è un uovo visibile a occhio nudo, ma pur sempre una sola cellula.
Le Pteridofite (come altre creature molto antiche, tipo i muschi) sono invece aplodiplonti, ovvero presentano un'alternanza di generazioni aploidi e diploidi. Frutto di una sperimentazione separata di Madre Natura, loro fanno le cose in grande.
Le spore sono cellule aploidi che non si uniscono ad altre cellule e che, cadendo sul terreno, possono germinare, dando origine al gametofito che ha una forma a tubercolo o, nelle felci, laminare e viene chiamato protallo. I protalli possono essere solo maschili (e producono gameti maschili), solo femminili (e producono gameti femminili) oppure ermafroditi (allora producono entrambi i tipi di gameti). I gameti maschili sono spesso provvisti di ciglia per muoversi nell'acqua; i gameti femminili, invece, sono contenuti in piccole strutture a forma di fiasco e immobili. I gameti maschili “nuotano” fino ai fiaschetti e si uniscono al gamete femminile, formando un embrione che si nutre a spese del protallo, sviluppando lo sporofito che è diploide, cioè quella che noi consideriamo la pianta vera e propria. Quando lo sporofito giunge a maturazione sulle pagine inferiori delle fronde dello sporofito si formano gli sporangi che, spesso aiutati da agenti esterni (come il vento o magari il tessuto dei vostri abiti o il pelo del vostro cane), cadono al suolo liberando le spore, aploidi. E tutto ricomincia. 


ciclo riproduttivo delle felci

Insomma, mentre voi producete i vostri gameti che, unendosi a quelli di eventuali partner daranno origine a piccolissimi umani, la felce che state guardando produce qualcos'altro (o meglio qualcun altro, che gode di esistenza autonoma, seppur breve) che a sua volta produrrà la felce che vedrete il prossimo anno.
Ma i segreti riproduttivi delle felci non finiscono qui: oltre che alla riproduzione sessuata (gametofito) e asessuata sporofito), le Pteridofite possono ricorrere alla riproduzione agamica (cioè da parti della pianta adulta).
Un esempio di questa loro capacità viene dall'osservazione della Woodwardia radicans studiata presso l'Orto Botanico di Messina, che cura un progetto per la sua moltiplicazione e salvaguardia. La Woodwardia è una felce arborea molto bella, capace di riprodursi anche per via vegetativa grazie a bulbilli che si formano in cima alla foglia e radicano quando toccano il terreno umido. Ho preso in prestito l'immagine qui sotto proprio dal sito dell'Orto Pietro Castelli di Messina.

 
Woodwardia radicans
Ma, come direbbe un mio amico, le felci sono strane, sono pure belle, ma non si mangiano... Vale proprio la pena di dedicar loro tanto spazio? Se siete così pragmatici continuate a leggere...

Tesori della Terra
Le felci arboree del carbonifero ci hanno lasciato un'eredità grandiosa. I combustibili fossili. Come ricorda il biologo evoluzionista Piotr Naskrecki (1), 
… la nostra economia, basata sui combustibili fossili , è alimentata dagli alberi che dominavano le foreste palustri del Carbonifero, precursori di piccole piante che calpestiamo oggi ogni giorno come licopodi ed equiseti, che sono fossili viventi.

carbon fossile con felce

Questo bel pezzo di carbone esibisce una felce fossile, l'ho scelto proprio per ricordarvi che i combustibili fossili derivano dalla trasformazione (carbogenesi) di sostanza organica seppellita in profondità nella crosta terrestre nel corso delle ere geologiche, in forme molecolari via via più stabili e ricche di carbonio. Uno studioso di ecologia direbbe che queste sostanze conservano nei loro legami chimici l'energia solare assorbita dalla biosfera di centinaia di milioni di anni fa grazie alla fotosintesi e, nel caso del petrolio e del gas naturale, fluita lungo catena alimentare da un livello trofico all'altro.

Ma allora le piante sono pezzi di carbonio?
In un certo senso sì. Ma quali lentissimi processi hanno consentito alle Pteridofite e alle prime Gimnosperme di trasformarsi in combustibili?
Be', immaginiamo i vegetali delle antiche foreste mentre piano piano cadono a terra e cominciano ad essere coperti da sedimenti. La pressione su di essi aumenta, il calore – compreso quello prodotto dagli elementi radioattivi della crosta terrestre – pure. Lentamente i batteri anaerobi eliminano da queste sostanze organiche l'ossigeno, l'idrogeno e l'azoto sotto forma di acqua e ammoniaca, aumentando anno dopo anno la concentrazione di carbonio all'interno di questi resti (processo di carbonizzazione), fino alla formazione di quelli che chiamiamo i vari tipi di carboni fossili.


Maggiore il tempo di carbonizzazione, maggiore il contenuto in carbonio dei combustibili che vengono così classificati in base alla sua percentuale: il litantrace, che è il più pregiato, giunge al 93%, sua cugina povera, la torba, raggiunge soltanto il 55%.
I carboni che noi abbiamo imparato a estrarre da secoli sono formati da carbonio, da una certa percentuale di idrogeno, ossigeno, azoto e piccole quantità di argilla, calcite, zolfo e acqua. Lo zolfo, che nella combustione si libera sotto forma di anidride solforosa (?) è responsabile di una bella fetta di inquinamento atmosferico.
Il petrolio, invece, è una miscela di idrocarburi liquidi, e il gas naturale una miscela di idrocarburi gassosi. Entrambi derivano dalla fossilizzazione di resti animali, in genere plancton, in ambiente marino. In senso stretto non hanno relazioni con le nostre pteridofite, ma vale la pena ricordarlo.
A questo punto si potrebbe parlare dell'impatto ambientale e sulla salute umana dei combustibili fossili, ricordare che, soprattutto il petrolio, hanno innescato rivalità, attriti e guerre fra le nazioni della Terra, disquisire sul diritto di tutti i popoli di accedervi equamente e sul loro dovere di non inquinare... Ma anche questa è un'altra storia, che esula dalla modesta portata di questo mio post da neo-appassionata di Pteridofite...
Ma non esula dalla mia convinzione marxista che l'economia fa girare buona parte del mondo e che è meglio conoscerla, almeno un po', per non esserne soltanto vittime. 


Cielo di una città cinese oscurato dai fumi di carbone

Nel sito indicato qui sopra troverete alcuni dati interessanti sull'uso del carbon fossile.

Il mio spazio dedicato alle felci finisce qui. Spero di avervi convinti che sono creature meritevoli di attenzione e di attenzioni. Io mi ci sono affezionata e continuerò ad ammirarle nei boschi. Anzi – cane, gatto, marito e figlia permettendo – ne voglio ospitare una, purché sia in grado di campare bene nel clima caldo e secco del mio terrazzo. 

Potrei cominciare con questa: mi assicurano che resiste bene sia al calcare che alla siccità. 

Polypodium vulgare



(1) Liberamente citato da A. J. Werth e W. A. Shear nel bell'articolo La verità sui fossili viventi, pubblicato in “Le Scienze” n. 560, aprile 2015).

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